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Patrick Zaki è stato nuovamente preso in ostaggio dal regime che opprime il suo Paese, l'Egitto. Dopo l'ennesima udienza del processo farsa intentato contro Patrick da un Tribunale speciale di Mansoura (Tribunale per la sicurezza dello Stato), l'attivista per i diritti umani è stato trascinato via dagli agenti. Per lui una condanna a 3 anni di reclusione. L'hanno fatto uscire dall'aula attraverso il passaggio nella gabbia degli imputati, tra le grida della madre e della fidanzata che attendevano all'esterno.
Dopo i 22 mesi di custodia cautelare in prigione, Zaki dunque è ancora ostaggio della violenza di Al-Sisi e dei suoi apparati giudiziari militari. Teoricamente dovrebbe stare in carcere per altri 14 mesi, dopo averne già passati 22 per la carcerazione preventiva, ma chi può dire, sotto la dittatura, cosa puo' accadere a un prigioniero politico?
L'Egitto ha migliaia di prigionierə politicə che marciscono in galere putride dove lo stato pratica su di loro ogni tipo di violenza. In particolare sulle donne. Abbiamo conosciuto in questi anni l'orrore e il terrore sul quale il dittatore Al -Sisi fonda il suo potere: Giulio Regeni, torturato e ucciso da una squadraccia dei servizi segreti, ce lo ricorda ogni giorno.
L'Egitto è anche la dittatura con la quale il governo italiano, quello attuale come quelli di prima, intrattiene solidi rapporti di "amicizia", per garantirsi gli appalti di Eni sul petrolio, di Leonardo e Finmeccanica sulle armi e le navi da guerra. Ora la premier Meloni ha detto di "confidare" su una soluzione politica per Patrick. Si parla di un possibile provvedimento di grazia del dittatore, alla vigilia del prossimo vertice internazionale. I corpi e le vite dellə cittadinə egizianə sono merce di scambio, anche nella migliore delle ipotesi che sarebbe proprio la liberazione di Zaki. Potrebbe significare ad esempio, mettere la parola fine a qualsiasi pretesa di giustizia da parte italiana, per l'omicidio di Giulio Regeni. A pretese di rispetto dei diritti umani avanzate, inutilmente e in maniera troppo blanda, dalle Nazioni Unite.
Per questo l'Egitto di Al-Sisi è un "Paese terzo sicuro" per l'Italia: sicuro come una dittatura utile a garantire gli affari energetici e militari convenienti, sicuro come un regime che impedisce lo sviluppo democratico nel Mediterraneo attraverso la forza militare.
D'altronde se il Mediterraneo fosse culla di una nuova democrazia, dove gli interessi dei popoli che lo abitano venissero prima di quelli di Eni e Leonardo, quanti miliardi di euro si perderebbero?
Senza la vendita di armi a questi regimi e senza le concessioni per le estrazioni petrolifere così strategiche, come si potrebbe contare qualcosa sulla attuale scena geopolitica? I diritti umani e la democrazia sono belle parole, utili per le cerimonie. Ma poi, in concreto, meglio aver a che fare con dittatori corrotti che con paesi dove la società civile può discutere e decidere il proprio futuro. Vale per l'Egitto, così come per la Libia e la Tunisia.
E dunque, a causa di questo nuovo colonialismo, che sponsorizza e finanzia dittature, dei governi occidentali e del governo italiano, che Patrick e altre migliaia di persone come lui, sono in ostaggio. Che Giulio e altre migliaia come lui sono torturati e uccisi.
Il nostro cuore è con Patrick e con tuttə lə prigionierə del regime. La nostra solidarietà va a lui e alla sua famiglia. Speriamo che possa uscire presto da questo incubo. Da parte nostra sappiamo che la lotta per un Mediterraneo democratico deve continuare. A partire dalla sponda dove abitiamo noi.
Mediterranea Saving Humans