«Chi salva una vita
salva il mondo intero»
Soccorriamo l’umanità insieme, sostieni le nostre missioni nel Mediterraneo.
La guerra contro i civili è la forma di tutte le guerre contemporanee. Alimentare in qualsiasi modo la sua prosecuzione, il suo divenire una strage senza fine, fino al rischio dell’olocausto nucleare, è una follia e una responsabilità che porteranno coloro che soffiano sul fuoco del riarmo, mentre il popolo ucraino è carne da macello.
Vi è la resistenza ucraina, a cui va tutto il nostro rispetto. È la resistenza fatta in mille forme di un popolo che non cede di fronte all’aggressione ingiustificabile di un despota che con un esercito e armi devastanti, ha invaso la loro terra. Un autocrate che, però, l’Europa, la “culla della democrazia”, ha coccolato e arricchito fino ad ora, da vent’anni a questa parte. In questa guerra non c’è, lo ribadiamo, nessuna equidistanza possibile per noi: chi aggredisce e invade con i carri armati e lancia missili e bombe a grappolo su città, case, università e ospedali, non può avere alcuna giustificazione. Non potrà mai averla.
Nella sconcertante gara tra i criminali che minacciano questo pianeta, Putin è di sicuro ai primi posti. Ovviamente la lista dei mandanti e degli esecutori di crimini contro l’umanità è lunga e trasversale: da quelli che bombardano i bambini in Yemen con bombe fornite anche dal nostro Paese, a coloro che finanziano i lager libici, dove sono stuprate donne, torturati e uccisi esseri umani indifesi. Ma una vergogna non si cancella con altre vergogne.
Per noi le persone che in Ucraina e in ogni parte del mondo soffrono a causa di tutti questi criminali, tutti e tutte coloro che sono indifesi di fronte alla vergogna e alla sconfitta delle guerre, sono fratelli e sorelle. Quelli che provano a difendersi come possono, ad impedire che la logica della forza e della violenza abbia la meglio su ogni diritto umano, su ogni convivenza possibile, hanno diritto di farlo. Come hanno diritto di fuggire, di disertare, di mettersi in salvo e di mettere in salvo i loro figli, centinaia di migliaia di persone che in queste ore stanno tentando di non diventare bersaglio od ostaggi e di raggiungere i confini europei. Il legittimo diritto alla resistenza degli aggrediti non può diventare la scusa di governi europei, fino a ieri vigliacchi e silenti di fronte ai crimini di Putin, e impegnati a fare affari con i suoi oligarchi, per lavarsi la coscienza, rischiando di contribuire a un’ulteriore escalation della guerra.
Battersi per la pace, contro la guerra, non può voler dire inviare armi senza assumere coraggiose iniziative politiche e diplomatiche: i governi europei devono lavorare per un cessate il fuoco immediato, e costruire le condizioni per un negoziato ad alto livello, che coinvolga tutti gli attori in campo, offrendo loro garanzie per un nuovo assetto di possibile convivenza, nel reciproco rispetto, in una cornice di sicurezza che escluda il ricorso alla forza. Resistere, disertare e disobbedire alla guerra e alle sue logiche è oggi la battaglia più difficile, ma anche l’unica che può rappresentare una speranza di futuro per le nostre democrazie imperfette, compresa quella ucraina. La nascita di una nuova Europa, di un nuovo mondo, non può basarsi sull’ennesimo bagno di sangue: quella è una strada già percorsa e quella strada ci ha condotti fino a qui, di nuovo sull’orlo di un baratro. I grandi produttori e venditori di armi, che stanno facendo affari enormi in questo momento mentre la gente muore, non devono avere il potere di decidere le politiche delle società contemporanee, come non devono averlo i detentori dei monopoli energetici, che per garantire il loro business non hanno nessuno scrupolo di fronte a nessuna dittatura e a nessun crimine in ogni parte del pianeta.
Resistere, disertare e disobbedire per noi significa sostenere ogni sforzo perché tacciano le armi subito: favorire negoziati e mediazioni, lottare perché i nostri governi siano impegnati a cercare una soluzione politica e geopolitica che adesso impedisca la carneficina annunciata. Su questa carneficina punta il “partito trasversale della guerra”, che come modello culturale insegue ancora la tragica illusione della deterrenza militare, come unico sistema di equilibrio e di coabitazione in Europa e in tutto il pianeta. Resistere, disertare e disobbedire significa per noi supportare le opposizioni e il dissenso alla guerra, che migliaia e migliaia di persone stanno attuando, con coraggio e affrontando paurose conseguenze, in Russia.
Resistere, disertare e disobbedire vuol dire mettere in atto azioni concrete alle quali stiamo lavorando, per favorire la fuga dalla guerra dei profughi – tutti i profughi senza vergognose distinzioni etniche o nazionali – che cercano di raggiungere i confini con la Polonia e la Romania. Il superamento dei famigerati Regolamenti di Dublino deve diventare prassi consolidata con cui l’Europa accolga tutte le persone che, alle sue frontiere, arrivano in fuga da discriminazioni e persecuzioni, disastri economici ed ambientali, violenze e guerre.
Resistere, disertare e disobbedire per noi vuol dire continuare e rilanciare la pratica del soccorso civile in mare nel Mediterraneo centrale, per aiutare le persone che tentano di fuggire dai lager libici e che, al pari di tutte le donne, uomini e bambini in fuga da discriminazioni e violenze, persecuzioni e guerra, rischiano di essere dimenticati nello scenario attuale.
Ci accusano di vivere in un mondo di sogni ed utopie, perché non assumiamo le posizioni degli Stati e dei quartier generali militari, perché non proponiamo soluzioni che seguano gli schemi della Realpolitik. Ma è proprio questo disumano, presunto “realismo politico”, ad averci portato fino a questo punto. Perciò rispondiamo che è meglio inseguire sogni e utopie, piuttosto che coltivare incubi e non saper ascoltare nessuna profezia. Ascoltiamo e siamo al fianco di Papa Francesco, nella pratica della resistenza, diserzione e disobbedienza alla guerra. Sogniamo un’Europa che si doti finalmente di una politica estera e di difesa comune, nel segno della costruzione di uno spazio non solo economico, ma anche sociale e politico transnazionale, proiettato verso la dimensione euro-asiatica ed euro-mediterranea, che sia capace di sviluppare politiche di pace e disarmo, a cominciare da quello nucleare, di solidarietà e cooperazione tra i popoli, nel segno del rispetto e dell’affermazione dei diritti fondamentali delle persone.
Lo dobbiamo ai nostri fratelli e sorelle che in questo momento stanno soffrendo in Ucraina.