«Chi salva una vita
salva il mondo intero»
Soccorriamo l’umanità insieme, sostieni le nostre missioni nel Mediterraneo.
Pubblichiamo la ricostruzione del naufragio del 5 aprile 2024 al largo di El Ambra (Tunisia) a cura di Refugees in Libya, Mem.Med - Memoria Mediterranea e Josi and Loni Project, e le successive deportazioni in Libia
Parlo direttamente all’Unione Europea: noi, i neri – non solo le persone della Sierra Leone, ma tutti i neri – ci troviamo in una situazione molto difficile. Non abbiamo libertà di parola o di movimento.
Solo le donne e i bambini possono muoversi liberamente, affrontando meno rischi di essere catturati e deportati dalla polizia.
Dal momento che siamo emarginati, supplico gli organismi internazionali di venire a vedere le nostre tensioni e i nostri vincoli e di riconoscere ciò che sta accadendo qui. Se venissero qui, vedrebbero come siamo costretti a vivere. Siamo esseri umani!
Quindi chiedo agli organismi internazionali di consigliare le autorità tunisine su come rispettarci. Quando si vedono persone in acqua, bisogna prendersene cura, e non trattarle come se fossero pesci o animali. Devono rispettare la vita, rispettarci! Invece, stanno uccidendo la nostra gente o portando i nostri fratelli e sorelle nel deserto.
Questo deve finire. Questo è il mio ultimo messaggio. Grazie.
Testimonianza di alcuni sopravvissuti ad un naufragio e omicidio di massa causato dalla Guardia Nazionale tunisina il 05 aprile del 2024, autorità finanziata dall’Italia e dall’Europa per controllare le frontiere marittime d’Europa.
"Siamo partiti la sera dalla costa di El Amra. Ci siamo imbarcati su una barca di ferro lunga 8 metri. In totale eravamo 42 persone, inclusi 14 donne e 7 bambini, dalla Sierra Leone, Guinea e Gambia. Due donne erano della Guinea ed erano incinte. Il resto delle donne era della Sierra Leone. Tutti i bambini erano della Sierra Leone.
Era buio e stavamo per salpare, quando è arrivata un’auto della Guardia Nazionale Tunisina (GNT) e ha iniziato a spararci addosso lacrimogeni. Siamo riusciti ad imbarcarci e a partire. Dopo circa mezz’ora, quando non eravamo a più di un chilometro dalla costa, un gommone nero della GNT ci ha raggiunto. Ha iniziato a tagliarci la strada e a produrre onde enormi per fermarci. Tutte le donne hanno cominciato a urlare, pregandoli di lasciarci in pace, che c’erano dei bambini. Mio fratello si è alzato in piedi e ha iniziato ad urlare loro: “Vi prego, fateci passare, tanto non ci volete qui. Lasciateci andare, abbiamo diversi bambini”. Teneva in braccio nostra nipote di 2 anni, che sarebbe annegata dopo poco.
Poi, è arrivata un secondo gommone della GNT. Anche questo ha iniziato a tagliarci la strada, facendoci imbarcare molta acqua, tenendosi però sempre a distanza.
La prima barca si è avvicinata più volte per permettere agli ufficiali della GNT di colpire i nostri motori con una barra di metallo. Le donne e i bambini continuavano a urlare e piangere. Siamo riusciti a respingere la barca della GNT un paio di volte, finché non ci hanno colpito con la loro barca in poppa, distruggendo il nostro scafo. Abbiamo cominciato ad imbarcare acqua e a affondare. La barca della GNT si è allontanata da noi, a più di cinque metri. Il personale ci ha detto di nuotare verso di loro per essere salvati.
La barca è affondata completamente. Siamo finiti tutti in acqua, lottando per restare a galla. Siamo rimasti in questa situazione per circa 15/20 minuti e molte persone sono annegate.
Solo coloro che sono riusciti a nuotare fino all’imbarcazione della GNT sono stati salvati, gli altri sono stati abbandonati in mare. Gli ufficiali ci facevano video e ridevano invece di soccorrerci.
Io ho aiutato un’altra donna ad uscire dalla barca che stava affondando e ho nuotato con l’unico bambino sopravvissuto fino alla barca della GNT. Ci hanno tirati a bordo, insieme ai pochi altri che sono riusciti a raggiungerli. Poi, hanno chiesto rinforzi prima di andarsene. Dopo un po’, sono arrivate altre due barche della GNT e hanno iniziato a salvare chi era ancora vivo e a recuperare i corpi. Abbiamo sentito l’equipaggio della seconda nave rimproverare quello delle prime due imbarcazioni per non averci soccorso, causando la morte di diverse persone.
Siamo stati trasportati su una grande nave, che ci ha portato al porto di Sfax. Una volta sbarcati, non ci hanno dato cibo, acqua o vestiti, lasciandoci seduti sulla banchina con i nostri vestiti bagnati fino al mattino.
Una volta al porto, abbiamo chiesto di poter vedere i corpi dei nostri compagni morti, ma non ce lo hanno permesso. Hanno messo tutti i corpi in un furgone e sono partiti. Quella notte, 16 persone hanno perso la vita, tra cui 9 donne e 6 bambini. Hanno salvato solo 14 dei 16 corpi.
Durante la notte, altri convogli di persone che erano partite sono stati respinti al porto di Sfax. Al mattino eravamo circa 300 persone.
Il giorno dopo, verso mezzogiorno, la GNT ci ha iniziato a far salire sui furgoni e a deportarci nel deserto. Siamo stati picchiati, anche le donne incinta, e le donne sono state molestate, toccate nelle loro parti intime. Dopo 12 ore di viaggio, sempre senza cibo né acqua, siamo stati abbandonati di notte al confine. Mio fratello ha visto una donna incinta morire davanti ai suoi occhi, e non è stata l’unica. La mattina dopo sono arrivati i libici e hanno catturato chi era rimasto in vita. Siamo stati portati in una prigione nel deserto. Molti di noi sono ancora rinchiusi lì, eccetto chi è riuscito a pagare il riscatto di 1000 euro che è stato ci è stato chiesto per essere liberati.
Molti membri della nostra famiglia hanno perso la vita: figli, nipoti, mogli, sorelle. E non possiamo neanche dare loro una degna sepoltura. Se fossimo nel nostro paese, lo faremmo, ma qui in Tunisia non c’è democrazia. Se dovessimo andare a cercare i loro corpi, metteremmo a rischio le nostre stesse vite. Per la nostra sicurezza, dobbiamo abbandonarli. Se potessimo contare sul supporto di organizzazioni internazionali nel cercare i resti dei nostri cari, lo faremmo senza esitazione.
Ma qui, per noi Neri, non c’è sicurezza né diritti."
La Tunisia è tornato ad essere un paese strategico nella mobilità attraverso il Mediterraneo. Da paese di partenza, specialmente negli anni successivi alla Rivoluzione dei gelsomini, negli ultimi tre anni è diventato anche un paese di transito per coloro che non trovano altre vie di fuga verso l’Europa.
Tantissime persone dal Sudan, Sierra Leone, Costa d’avorio, Nigeria, Ghana, Gambia e altre nazionalità sub-sahariane hanno iniziato a raggiungere il paese per sfuggire al vicolo cieco della Libia che, con il suo ormai rodato modello di respingimenti e confinamento, lascia poca speranza di successo a chi vuole attraversare il confine marittimo. Ciò ha creato diverse tensioni locali, esacerbate dalle politiche xenofobe e razziste del presidente Kais Saied. Il suo discorso anti-migranti del 21 febbraio 2023 ha infatti legittimato un’ondata di violenza razzista contro tutta la popolazione sub-sahariana residente nel paese, accelerando processi di espulsione dai centri abitati, dal mercato del lavoro formale, e di confinamento in campi informali ai margini, in particolare della città di Sfax.
In questa situazione di forte tensione sociale, l’Europa e l’Italia stanno investendo molte energie diplomatiche per convincere il governo tunisino a stringere una stabile alleanza, soprattutto sul fronte migratorio e del controllo delle frontiere esterne dell’Europa. In questa direzione va la firma del memorandum d’intesa tra Europa e Tunisia firmato il 16 luglio 2023, che prevede, tra le altre cose, il supporto nella militarizzazione del confine marittimo tunisino. Tutto questo si traduce nel rafforzamento degli assetti navali, dell’infrastruttura tecnica per la sorveglianza e nella formazione delle autorità di confine.
In questo primo anno di governo, la presidente del consiglio italiano, Giorgia Meloni si è recata già quattro volte nel paese nel quadro del Piano Mattei per stringere intese bilaterali di cooperazione con i paesi africani e della regione del Mediterraneo allargato. L’ultima è stata il 17 aprile 2023 in cui sono state siglate intese in materia di efficienza energetica, supporto alle imprese e all’istruzione e alta formazione. A margine, Meloni ha menzionato l’importanza della comune lotta dell’Italia e della Tunisia al traffico di esseri umani. Invece di assumere la complessità politica di questo fenomeno e cercare soluzioni durevoli, come l’apertura di canali d’accesso sicuri e svincolati dal criterio della vulnerabilità o dalla possibilità d’accesso al mercato del lavoro, si preferisce additare un capo espiatorio semplice e così rafforzare la militarizzazione dei confini e dell’accoglienza.
Questa prospettiva è condivisa anche dall’approvazione del Nuovo Patto in materia di immigrazione e asilo, approvato dal Parlamento europeo il 10 aprile 2023, che velocizza i processi di selezione in frontiera delle persone in movimento e legittima la gestione della migrazione in zone extraterritoriali, aprendo ampi spazi all’implementazione da parte delle autorità di frontiera europee o di stati terzi alleati di pratiche illegittime come respingimenti, deportazioni e detenzioni arbitrarie.
Tutto questo ha un effetto concreto e tangibile nella vita di migliaia di persone, che in Tunisia, come in Libia, Marocco ed Egitto vengono quotidianamente respinte, deportate, fatte sparire, o uccise dalle autorità di frontiera oltre che dalle reti criminali.
I 7 bambini, le 14 donne e l’uomo che hanno perso la vita nella notte tra il 5 e il 6 aprile sono tra loro. Vite ingiustamente interrotte dal regime razziale e violento delle frontiere europee.
#PerNonDimenticarli #NoagliAccordiconlaTunisia #StragediElAmbra
Refugees in Libya
Mem.Med – Memoria Mediterranea
J&L Project