A cura di Refugees in Libya | 24 / dic / 2024

Il centro umanitario di Agadez, in Niger, è veramente tale?

Pubblichiamo il comunicato tradotto in italiano di Refugees in Libya, che amplifica le voci di denuncia contro l'UNHCR e le autorità nigerine dellə rifugiatə bloccatə nel centro umanitario di Agadez.

Lə rifugiatə bloccatə in Niger da 7 anni scrivono una lettera all'UNHCR e alla comunità internazionale

Il nostro passato è triste, il nostro presente è brutto e il nostro futuro è ignoto, quindi non vogliamo restare qui!

Questo potente slogan, scandito durante le proteste in corso al Centro umanitario di Agadez, in Niger, cattura la disperazione delle migliaia di persone bloccate in questo cosiddetto centro “umanitario”. Per oltre sette anni, questə rifugiatə - che fuggono principalmente dalle continue violenze del Sudan - hanno sopportato l'abbandono, la mancanza di protezione e la paura. Mentre esigono i loro diritti fondamentali attraverso manifestazioni pacifiche, la loro situazione è sostanzialmente ignorata dall'UNHCR, dal governo nigerino e dalla comunità internazionale.

Lungi dall'essere un rifugio, il centro di Agadez si è trasformato in quella che molti descrivono come una prigione a cielo aperto, una zona di contenimento. Lə rifugiatə in fuga da genocidi, guerre civili e persecuzioni in Paesi come Sudan, Ciad ed Eritrea si ritrovano bloccatə in questo luogo desolato senza un futuro chiaro.

Non vedendo la fine delle loro sofferenze, lə rifugiatə hanno scritto una lettera accorata all'UNHCR e alla comunità internazionale, chiedendo attenzione e intervento.

Le proteste pacifiche presso il Centro umanitario di Agadez, 19 novembre 2024

Una lettera disperata al mondo

Non vedendo la fine delle loro sofferenze, il 22 novembre 2024 lə rifugiatə hanno scritto una lettera aperta all'UNHCR e alla comunità internazionale. Il loro appello è tanto straziante quanto urgente:

Siamo rifugiatə, siamo fuggitə dai nostri Paesi a causa di violenze e deportazioni e siamo venutə in Niger per cercare rifugio e protezione, ma in questi giorni siamo minacciatə dai funzionari della CNE (la Commissione Nazionale di Eleggibilità, l'organismo che gestisce le richieste di protezione in Niger) per la protesta pacifica in cui rivendichiamo i nostri diritti in quanto rifugiatə. Ora siamo impauritə e terrorizzatə, non vogliamo restare qui e non possiamo tornare nel nostro Paese, che sta vivendo guerre terribili che rendono impossibile il rimpatrio. Siamo fuggitə in Libia in cerca di protezione, ma ci siamo trovati intrappolatə in una situazione ancora peggiore. Siamo entratə nelle sue buie prigioni e siamo stati sottopostə alle più atroci torture psicologiche e fisiche.

Con l'aggravarsi delle sofferenze, siamo arrivatə in Niger in cerca di sicurezza e di condizioni di vita dignitose, ma in Niger non le abbiamo trovate. Abbiamo vissuto per sette anni in un ambiente e in condizioni disumane e degradanti. È un peccato che il nostro Paese viva oggi in una spirale di conflitti e scontri che ci costringono a rimanere in esilio. Tuttavia, la vita nel Centro di Agadez non è meno tragica di quella da cui siamo fuggitə. Siamo bloccatə tra una patria in cui non si può tornare e un centro umanitario in cui non si può vivere. La cosa triste è che il mondo ci vede ma non sente le nostre grida, come se vivessimo nell'ombra delle crisi che fanno notizia, mentre noi siamo solo numeri in lista d'attesa.

Chiediamo che i nostri diritti di esseri umani vengano rispettati: il diritto alla cura, il diritto all'istruzione dellə nostrə figliə e il diritto alla sicurezza delle nostre donne. Non chiediamo altro che una vita dignitosa che preservi la nostra umanità. La nostra sofferenza dura da molto e abbiamo cominciato a pensare che il mondo abbia dimenticato la nostra esistenza.

Vi chiediamo di prestare attenzione al nostro caso, di far sentire la nostra voce a coloro che possono aiutarci. Il Centro umanitario di Agadez è diventato una morta lenta e la situazione non può essere rimandata. Non possiamo tornare nei nostri Paesi a causa delle guerre e non possiamo rimanere in questo luogo che ci priva della nostra vita giorno dopo giorno.

Per questo, noi rifugiatə del Centro di Agadez abbiamo deciso di rivendicare i nostri legittimi diritti in modo pacifico. Questo attraverso proteste all'interno del centro umanitario e davanti all'ufficio dell'UNHCR all'interno del centro umanitario. Vale la pena notare che le proteste sono iniziate domenica 22 settembre 2024 e continueranno fino a quando le nostre semplici richieste non saranno soddisfatte. Non vogliamo restare qui, meritiamo di essere trattatə come esseri umani.

Ci auguriamo che tutte le organizzazioni che operano nel campo umanitario e tutti i Paesi che hanno a cuore l'umanità si occupino della nostra questione, lo diciamo in tutte le nostre debolezze e la fragilità. Abbiamo bisogno del vostro urgente sostegno. Non lasciate che il mondo ci dimentichi, siamo esseri umani, abbiamo diritto a una vita dignitosa.

Con dolore e speranza,

Rifugiatə del Centro umanitario di Agadez”

È evidente che lə rifugiatə bloccatə in questa prigione a cielo aperto, definita come rifugio umanitario, hanno un passato terribile e doloroso, dal genocidio del Darfur all'attuale crisi sudanese, iniziata con la cacciata dell'ex presidente del Sudan Omar al-Bashir durante la rivolta del 2019.

Storie dall'ombra

Lə rifugiatə di Agadez non sono vittime senza nome. Sono oersone con storie strazianti di sopravvivenza, resistenza e profonda sofferenza.

Il viaggio di Mo'taz Mokhtar Abkar

Mo'taz Mokhtar Abkar aveva solo 15 anni quando la sua vita è stata sconvolta. Nel 2017, le milizie hanno preso d'assalto la casa della sua famiglia in Sudan, uccidendo le persone a lui care davanti ai suoi occhi. In fuga dal caos, Mo'taz è scappato in Libia, dove la sua sofferenza è peggiorata. Costretto a lavorare in una fattoria in condizioni di costante abuso e fame, è stato quotidianamente violenze e sfruttamento.

“Non avevo soldi per fuggire. Non avevo la forza di combattere. Ero costretto a lavorare senza cibo, senza riposo”, racconta.

Dopo due anni, Mo'taz ha trovato lavoro in un'officina automobilistica, ma ha dovuro sopportare le stesse condizioni brutali e a causa di esalazioni e fumi tossici ha subito danni alla vista. Alla fine è riuscito a fuggire con l'aiuto di un altro rifugiato sudanese e ha raggiunto il Niger nel 2021.

Oggi Mo'taz rimane intrappolato nel Centro umanitario di Agadez. “Ho perso tutto: i miei genitori, mio fratello e tante altre persone. Sono qui da anni, ma nessuno mi ha offerto una soluzione. Sono un rifugiato, ma mi sento invisibile”, dice. “Non voglio perdere anche la mia vita”.

La lotta senza fine di Aboubaker

La vita di Aboubaker Al-Siddiq Abkar Yahya è stata caratterizzata da continui spostamenti. Dall'incendio della sua città natale in Darfur ai terribili campi di detenzione in Libia, il suo viaggio è una testimonianza della resistenza umana. Nonostante la sua laurea in economia, il potenziale di Aboubaker è stato sprecato da anni di reclusione ad Agadez.

“Sono venuto qui in cerca di protezione, ma non ho trovato altro che sofferenza”, spiega. Le sue condizioni di salute si deteriorano quotidianamente, con problemi agli occhi che minacciano la sua vista. “Se questo è il significato di essere un rifugiato, non so per quanto tempo ancora potrò sopravvivere”.

La lotta di Nadia per il suo bambino

Per Nadia Ali, la sicurezza è sempre stata difficile da raggiungere. Incinta durante la guerra in Sudan, è fuggita per trovare cure mediche, ma ha dovuto affrontare esodo, fame e terrore. Il suo neonato è sopravvissuto al viaggio verso il Niger, ma Nadia vive nella costante paura per il futuro del suo bambino.

“Ho tenuto mio figlio vicino a me mentre i proiettili volavano sopra le nostre teste”, ricorda. “Ora lo guardo e mi chiedo se conoscerà mai la pace”.

Il centro umanitario di Agadez: una promessa mai mantenuta

Istituito nel 2017 grazie ai finanziamenti dell'Unione Europea, il Centro umanitario di Agadez doveva essere un punto di transito per lə rifugiatə in attesa di reinsediamento. Invece, è diventato un luogo dove la speranza pian piano muore.

Lə rifugiatə hanno raccontato le condizioni del campo come segue:

- Assistenza sanitaria: l'ambulatorio è operativo solo per poche ore al giorno e offre al massimo un'assistenza di base. I casi di emergenza che si verificano di notte spesso non vengono trattati, con conseguenze fatali.

- Istruzione: nonostante le promesse, non ci sono scuole per lə bambinə, che rappresentano il 38% della popolazione del Centro. Un'intera generazione sta crescendo senza istruzione e prospettive.

- Condizioni di vita: tende sovraffollate, servizi igienici insalubri e scorte di cibo limitate rendono la vita quotidiana una lotta per la sopravvivenza.

- Sicurezza: lə rifugiatə riferiscono di minacce e violenze da parte delle autorità locali, senza avere alcun tipo di protezione legale.

Il ruolo dell'Unione Europea nell'esternalizzazione delle frontiere

L'Unione Europea ha svolto un ruolo significativo nell'esternalizzazione delle politiche di gestione delle frontiere, facendo pressione sul Niger affinché adottasse leggi severe contro il contrabbando, tra cui la controversa legge 2015-36. Questa legge, approvata nel 2015, è stata concepita come una risposta alla migrazione irregolare, ma da allora ha esacerbato le crisi umanitarie e causato gravi danni sociali ed economici in Niger.

L'impegno finanziario dell'UE per il Niger e la gestione della migrazione

L'UE ha stanziato ingenti finanziamenti nell'ambito del suo Fondo fiduciario di emergenza per l'Africa (EUTF) per gestire i flussi migratori e sostenere il rispetto delle misure di controllo della migrazione da parte del Niger. Nell'ambito di questi sforzi:

1. Finanziamento totale per la gestione della migrazione in Niger:

Tra il 2015 e il 2020, l'UE ha erogato circa 1 miliardo di euro attraverso vari programmi volti a contenere la migrazione irregolare in tutta la regione del Sahel, con una parte significativa dedicata al Niger.

Il Niger, in quanto Paese di transito fondamentale per le persone migranti dirette in Europa, ha ricevuto 250 milioni di euro in finanziamenti diretti per le attività di contrasto al traffico di esseri umani , lo sviluppo economico locale e la creazione di centri di accoglienza per persone migranti come il Centro umanitario di Agadez.

2. Stanziamenti specifici ai sensi della Legge 2015-36:

Per sostenere l'applicazione della legge 2015-36, l'UE ha finanziato progetti mirati allo smantellamento delle reti di traffico, al rafforzamento delle capacità delle forze dell'ordine nigeriane e alla creazione di mezzi di sussistenza alternativi per le comunità precedentemente dipendenti dall'economia della migrazione. Questi programmi comprendono:

-100 milioni di euro per la formazione e l'equipaggiamento delle forze di sicurezza per la repressione delle rotte del traffico.

- 50 milioni di euro per iniziative di sviluppo volte a creare “alternative economiche” in regioni come Agadez, fortemente dipendenti dall'industria della migrazione.

- 75 milioni di euro per migliorare le condizioni dei campi di transito, come il Centro umanitario di Agadez, attraverso partnership con organizzazioni internazionali come l'UNHCR e l'OIM.

3. Sviluppo delle infrastrutture e delle forze di polizia:

Ulteriori fondi dell'UE sono stati destinati a progetti infrastrutturali, come i posti di blocco alle frontiere, la tecnologia di sorveglianza e il supporto logistico alle forze di polizia nigerine. Queste spese miravano a scoraggiare la migrazione, ma non sono riuscite a fornire alternative valide alle persone colpite dalla repressione.

Risultati e fallimenti del progetto

Nonostante l'investimento finanziario dell'UE, i risultati di questi programmi sono stati disastrosi.

1. Aumento delle sofferenze per persone migranti e rifugiate:

Le persone migranti sono state costrette a percorrere rotte più pericolose e remote attraverso il deserto del Sahara, il che ha portato a un aumento di sei volte dei decessi tra il 2015 e il 2017. I rapporti stimano che migliaia di persone siano morte in queste condizioni disperate.

2. Tracollo economico ad Agadez:

L'industria della migrazione era un importante motore economico ad Agadez. L'applicazione della legge 2015-36 ha distrutto i mezzi di sussistenza locali senza fornire alternative adeguate, portando a un aumento della povertà e a un incremento del banditismo e della criminalità organizzata.

3. Promesse non mantenute di sostegno umanitario:

I progetti destinati a fornire istruzione, assistenza sanitaria e opportunità di lavoro in aree come Agadez non si sono concretizzati del tutto, lasciando sia le popolazioni locali che lə rifugiatə in condizioni disperate.

4. Peggioramento delle condizioni nei campi profughi:

Nonostante i significativi finanziamenti dell'UE, strutture come il Centro umanitario di Agadez rimangono gravemente inadeguate. Lə rifugiatə denunciano la mancanza di servizi di base e i finanziamenti sono spesso gestiti male o reindirizzati.

5. Smantellamento delle reti migratorie tradizionali:

Se da un lato la legge ha ridotto le operazioni di traffico visibili, dall'altro ha forzato l'economia migratoria sommerso, rendendo le rotte più pericolose e non regolamentate. I trafficanti sono diventati più spregiudicati e la corruzione tra le forze dell'ordine è cresciuta.

Abrogazione della legge

Il 27 novembre 2023, la giunta militare del Niger ha abrogato la Legge 2015-36. L'abrogazione rientrava nei più ampi sforzi della giunta di allontanarsi dall'influenza europea dopo la sospensione degli aiuti e del riconoscimento da parte dell'UE in seguito al colpo di Stato del luglio 2023. L'abrogazione ha permesso ai trafficanti di operare più apertamente, sollevando le preoccupazioni dell'UE per il potenziale aumento delle morti di persone migranti. Tuttavia, la giunta ha spiegato l'abrogazione come un rifiuto di politiche che, a suo avviso, privilegiavano gli interessi europei rispetto alle realtà locali.

Il campo di Agadez è il risultato diretto delle politiche dell'Unione Europea volte a contenere la migrazione. Esternalizzando il controllo delle frontiere a Paesi come il Niger, l'UE ha creato centri di detenzione de facto, dove lə rifugiatə vengono trattenutə anziché reinsediatə.

Sebbene l'UE abbia incanalato miliardi di euro in programmi per “gestire la migrazione”, questi fondi non sono riusciti ad affrontare le cause profonde della crisi. Al contrario, hanno creato pericolosi colli di bottiglia come quello di Agadez, dove lə rifugiatə sono lasciatə a languire indefinitamente.

Il messaggio è chiaro: l'intimidazione non metterà a tacere coloro che lottano per le loro vite e il loro futuro.

Minacce contro lə rifugiatə e silenziamento della protesta

Nelle prime ore del 18 novembre 2024, un atto deliberato di incendio doloso ha preso di mira la casa di Ahmed Adam, una figura chiave nelle proteste pacifiche in corso presso il Centro umanitario di Agadez. L'attacco, avvenuto intorno alle 3 del mattino, è arrivato dopo giorni di crescenti minacce contro Adam e altrə leader della protesta. Casa sua è stata data alle fiamme in quello che si ritiene un tentativo di intimidire coloro che si battono per il miglioramento delle condizioni di vita e di giustizia all'interno del centro.

Ahmed Adam è stato in prima linea nella protesta. Nonostante le ripetute minacce da parte delle autorità locali e dei funzionari del campo, Adam e lə suə compagnə di protesta sono rimasti irremovibili nelle loro dimostrazioni pacifiche, iniziate il 22 settembre 2024.

L'incendio doloso ha causato danni significativi alla casa di Adam. Fortunatamente non ci sono statə feriti. Tuttavia, l'incidente ha intensificato i timori della popolazione rifugiata, in particolare di coloro che partecipano attivamente alle proteste. Moltə rifugiatə considerano l'attacco come un tentativo deliberato di silenziare le loro voci e di far deragliare i loro sforzi per ottenere giustizia.

In seguito all'incidente, lə manifestantə hanno rilasciato una dichiarazione collettiva di solidarietà:

“Siamo tuttə Ahmed Adam. Questo atto di violenza non ci scoraggerà. Rimaniamo decisə nella nostra lotta per la giustizia, la dignità e un futuro migliore. Per il bene dei nostri obiettivi e della nostra storia, continueremo a rimanere unitə”.

La situazione ad Agadez è un disastro umanitario. Lə rifugiatə non chiedono lussi, ma il diritto di vivere. Le loro richieste sono chiare:

1. Assistenza umanitaria immediata, accesso all'assistenza sanitaria e all'istruzione.

2. Reinsediamento in Paesi in grado di garantire la sicurezza.

3. Riconoscimento dei loro diritti umani fondamentali.

4. Responsabilità: garantire la supervisione delle autorità locali e delle organizzazioni umanitarie.

5. Solidarietà globale: riconoscere lə rifugiatə come esseri umani, non come statistiche o strumenti politici.

Dopo la denuncia pubblica di Refugees in Libya, l'inviato speciale per il Mediterraneo centro-occidentale di UNHCR Vincent Cochetel ha risposto pubbliamente su X alle rivendicazioni dellə rifugiatə prima affermando che essə erano statə sostenutə adeguatamente da UNHCR in attesa del rimpatrio, visto come unica possibile soluzione, e poi promettendo che si sarebbe messo in contatto con lə rappresentantə di UNHCR in Niger.

Lə rifugiatə in Niger attendono che UNHCR compia delle azioni concrete per garantire i loro diritti.

Il primo tweet di Cochetel
Il secondo tweet
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