A cura di Redazione Mediterranea |

G.I.P. Agrigento archivia definitivamente l'inchiesta sul salvataggio del maggio 2019

Era il 9 maggio 2019 quando la nostra nave Mare Jonio soccorreva, 35 miglia nautiche a nord di Zuara, in zona SAR attribuita alla competenza libica, trenta persone tra cui due donne incinte, una bambina di 2 anni – la piccola Alima – e diversi minori non accompagnati. Erano a bordo di un piccolo gommone, sovraccarico, col motore in avaria e che stava già imbarcando acqua.


Poteva affondare da un momento all’altro e condannare a morte certa i suoi occupanti. Dopo aver tratto in salvo i naufraghi, il nostro Comandante e il Capomissione si rifiutarono di obbedire agli ordini del Governo italiano di allora che ci chiedeva di consegnare le persone nelle mani degli aguzzini da cui stavano fuggendo, ovvero la cosiddetta guardia costiera libica.

Per questa ragione, il 10 maggio, dopo lo sbarco dei superstiti a Lampedusa, il nostro Comandante e il Capomissione furono indagati per il reato di “favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina” e la nave posta sotto sequestro. Non solo, Beppe Caccia, nella sua qualità di armatore della Mare Jonio oltre che Capomissione in quella occasione, fu accusato anche di due violazioni del Codice della Navigazione, per non aver ottemperato alla “diffida” delle Autorità “a svolgere in maniera pianificata e organizzata attività di ricerca e soccorso con una nave priva delle necessarie certificazioni.”

Oggi, a quasi mille giorni dall’apertura di quella inchiesta, è stata notificata la decisione con cui la Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Agrigento, dott.ssa Micaela Raimondo, accogliendo le richieste dei Procuratori della Repubblica dott. Salvatore Vella e Cecilia Baravelli, ha definitivamente archiviato l’inchiesta per il soccorso del 9 maggio 2019 e ha prosciolto così il Comandante Massimiliano Napolitano e il Capomissione e armatore della Mare Jonio Beppe Caccia da ogni accusa a loro carico.

Particolarmente significative le motivazioni del proscioglimento addotte dal Tribunale, che scrive come innanzitutto i nostri abbiano agito “in stato di necessità” e “nell’adempimento del dovere di salvataggio, previsto dal diritto nazionale e internazionale”. Ma aggiunge anche come “non si possa considerare la Libia un place of safety”, porto sicuro, viste le condizioni in cui “alcune migliaia di richiedenti asilo, migranti e rifugiati versano in detenzione arbitraria, sottoposti a torture e a trattamenti inumani e degradanti, in violazione dei loro diritti umani.”

Infine, la GIP dott.ssa Raimondo – in merito alle asserite violazioni del Codice della Navigazione – osserva come proprio dalle ispezioni effettuate dalla Guardia Costiera in sede di indagini emerga che la Mare Jonio è “attrezzata per svolgere, se necessario, attività di salvataggio di vite umane in mare e il suo personale adeguatamente formato.” Ma, come anche, appunto, “nell’ordinamento italiano non sia prevista una certificazione SAR per le imbarcazioni civili impegnate nello svolgimento” di questa attività.

Ancora una volta, dopo accurate investigazioni e non sulla base di fantasiosi e strumentali teoremi, un Tribunale italiano si pronuncia in modo inequivocabile: salvare vite umane in mare non è un crimine, ma un obbligo per tutti, civili e militari.

È quello che del resto la nave Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans ha appena fatto, soccorrendo – nella notte del 20 gennaio scorso – 214 tra donne, uomini e bambini in fuga dalla Libia e in pericolo di vita nelle acque del Mediterraneo centrale. Ed è quello che continueremo a fare.

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