A cura di Don Mattia Ferrari | 27 / lug / 2023

Fati, Marie e le nostre colpe

Pubblichiamo l'articolo scritto da Don Mattia Ferrari, cappellano di Mediterranea Saving Humans, su La Stampa riguardo alla morte di Fati e Marie, avvenuta a causa della fame e della sete nel deserto al confine tra Libia e Tunisia.

Hanno finalmente un volto, un nome e una storia la donna e la bambina deportate nel deserto insieme agli altri migranti e morte di sete, la cui foto nei giorni scorsi ha fatto il giro del mondo.

La donna si chiama Fati Dosso e nasce 30 anni fa in Costa d'Avorio. Si trasferisce in Libia, dove vive per 5 anni. Suo marito viene dal Camerun. Insieme 6 anni fa danno alla luce la piccola Marie. A causa della situazione di grave pericolo in Libia, tentano più volte di attraversare il Mediterraneo, ma vengono sempre stati catturati in mare dalla cosiddetta Guardia costiera libica, finanziata dall’Italia e dall’Europa sulla base degli accordi del 2017 e poi sempre rinnovati.

Fati, suo marito e Marie si arrendono e vanno in Tunisia. Nelle scorse settimane però all’improvviso vengono prelevati dai militari. L’Europa, su spinta dell’Italia, ha iniziato a siglare il Memorandum con la Tunisia per darle soldi in cambio del contenimento dei migranti e in questo contesto le milizie tunisine hanno iniziato a catturare migranti e a deportarli nelle zone desertiche al confine con la Libia.

Intrappolati nel deserto, il marito di Fati va disperatamente a cercare acqua per loro, e a quel punto di lui si perdono le tracce. Fati e la piccola Marie non sopravvivono: finiscono la loro vita così, abbracciate, uccise dalla sete, uccise dalle deportazioni delle milizie tunisine, uccise dalla violenza della Fortezza Europa.

E sono solo alcune tra le vittime di questi giorni uccise in seguito alla deportazione delle milizie tunisine.Dai migranti intrappolati continuano ad arrivare audio in cui si sentono bambini che piangono e i deportati supplicano: “Stiamo morendo uno dopo l’altro. Aiutateci, non ci abbandonate qui”.

A fronte di questa supplica, l’unico che ha risposto prontamente alle richieste di aiuto dei migranti è Papa Francesco, che nell’Angelus domenica ha fatto appello per la loro salvezza. I governi procedono spediti su queste politiche e sulla ratifica del Memorandum in cui non è previsto il rispetto dei diritti umani, mentre larga parte delle opposizioni reagisce con relativa debolezza, al punto che su Avvenire Marco Iasevoli ha paventato il rischio di una sorta di “larghe intese del cinismo e della realpolitik” in Italia e in Europa.Davanti a tutto questo, possiamo ancora dirci umani? Per chi ha fede, possiamo ancora dirci cristiani?

Per giustificare questo cinismo i potenti usano la solita scusa: non c’è alternativa. La bugia più grande di questa epoca storica è farci credere che non sia possibile un altro mondo. Invece l’alternativa c’è e si è visto anche nel contro-vertice di domenica scorsa, organizzato da Mediterranea e Refugees in Libya, che ha visto gli interventi di attivisti di vari Paesi africani ed europei e dei migranti stessi. Il controvertice si è svolto a Spin Time, il palazzo romano occupato dove convivono, in una grande comunità, circa 400 persone di 27 nazionalità diverse, di cui quasi 100 minori, insieme ad alcune migliaia di attivisti di vari movimenti, da quelli studenteschi a quelli ecologisti. La gioia che si respira a Spin Time è la prova un altro mondo è possibile ed è molto più bello.

La crisi migratoria è complessa, intreccia il diritto umano a migrare con la crisi della giustizia globale causata dal capitalismo che costringe a migrare per sopravvivere,dunque richiede soluzioni che garantiscano il diritto a migrare e il diritto a restare.

Trovare queste soluzioni non è semplice ma la via con cui trovarle c’è e l’ha indicata sempre Papa Francesco nella “Fratelli tutti”, quando spiega l’importanza che la politica coinvolga i movimenti popolari: “In certe visioni economicistiche chiuse e monocromatiche, sembra che non trovino posto, per esempio, i movimenti popolari. […]Occorre pensare alla partecipazione sociale, politica ed economica in modalità tali che includano i movimenti popolari e animino le strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune […].Benché diano fastidio, benché alcuni “pensatori” non sappiano come classificarli, bisogna avere il coraggio di riconoscere che senza di loro la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino”.

Ecco dunque la via per la soluzione: i governi e le forze politiche riconoscano come soggetti e protagonisti attivi i movimenti popolari, li coinvolgano. Solo così sarà possibile costruire una vera fraternità. E solo una fraternità incarnata ci permetterà di costruire insieme la civiltà dell’amore. Perché un altro mondo è possibile, se amiamo veramente.

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