«Chi salva una vita
salva il mondo intero»
Soccorriamo l’umanità insieme, sostieni le nostre missioni nel Mediterraneo.
Rilanciamo l'articolo di Luca Casarini, pubblicato da L'Unità, sul naufragio avvenuto ieri al largo delle coste greche
Una strage tra le peggiori del Mediterraneo, quella che si è consumata ieri a 47 miglia dalle coste della Grecia.
Centinaia di dispersi, forse più di 500, che purtroppo sappiamo che in questi casi presto potrebbero essere dichiarati morti. Bambini, donne incinte, uomini provati dalla schiavitù e dalla detenzione in Libia. Tutti giù sul fondo del mare, dopo aver sperato fino all’ultimo che qualcuno li aiutasse.
La HCG (Hellas Coast Guard) in un comunicato che ricorda molto quelli all’indomani di Cutro, butta la croce sulle vittime. “Hanno rifiutato gli aiuti”.
Ma intanto la prima cosa concreta ed inconfutabile che si evince da quel comunicato è che la Guardia Costiera, pur avendo a 40 miglia due porti attrezzati con mezzi di soccorso, non è uscita. Hanno fatto muovere navi, motovedette ed elicotteri solo a naufragio avvenuto, come se si trattasse più di costruire un alibi che salvare persone.
Ore di continue richieste di aiuto inascoltate, sono un’omissione di soccorso, e una procurata strage. Sapevano tutto dal pomeriggio del 13 giugno. Anche l’MRCC italiano ha sollecitato l’intervento dei guardiacoste greci. Lo sapeva Frontex, che ha segnalato con la solita triangolazione tra il centro di controllo operazioni a Varsavia e Centro di Coordinamento greco. Lo sapeva Malta, anche se questo è totalmente ininfluente, vista il completo disimpegno delle autorità dell’isola-Stato ad occuparsi di queste cose. Lo sapevano tutti, informati immediatamente dall’attivista per i diritti umani Nawal Soufi e dal telefono del soccorso civile Alarm Phone.
Di questi loro appelli e richieste di intervento immediato a tutte le autorità e in particolare a quelle elleniche, vi è traccia in mail e anche in appelli pubblici via social. Sul profilo Facebook di Nawal, si può seguire tutta la cronologia di una tragedia annunciata che diventa strage, nel momento in cui nulla si muove per tentare di evitarla, prevenirla o almeno ridurne le conseguenze mortali.
Se mezzi attrezzati, e non pescherecci o mercantili di passaggio, fossero usciti, avessero percorso quelle due ore di navigazione per essere lì, vicini a quel barcone stracarico di persone che chiedevano aiuto, a quest’ora non staremmo a contare i morti.
Ma anche da morti, non sono né naufraghi né persone. “Migranti in transito” vengono classificati nei documenti ufficiali. Molti di loro saranno senza un nome, senza un corpo. Non avranno nemmeno un numero, come accadde a Cutro per i cadaveri che il mare ha restituito a riva, uno alla volta, per giorni. Cinquanta miglia dalla costa, in uno dei punti più profondi dell’Egeo, sono troppe perché questo accada. I “migranti in transito”, sono naufraghi di serie B, quelli che si possono anche “non soccorrere”. Sono esseri umani consegnati dagli stati europei, alla “probabilità” della morte.
Alarm Phone denuncia di aver allertato le autorità greche, insieme a Frontex e UNHCR Grecia, fin da poco dopo le 14 dell’altro ieri. Fino alla mezzanotte, quando poi la barca si è rovesciata, le richieste di intervento sono state continue, incessanti. Il telefono di soccorso ha cercato di far intervenire anche due mercantili, che incrociavano nelle vicinanze, il “Lucky Sailor” e il “Faitthful Warrior”. Ma il primo, l’unico con cui è stato possibile parlare, aveva ribadito di poter intervenire “solo su ordine delle autorità greche”. Da bordo del barcone la voce di chi dal satellitare chiedeva aiuto, si è fatta sempre più flebile. Parlava di 6 persone già morte, o comunque prive di coscienza. Di tante donne e bambini, terrorizzati.
“Ci sarà tra i sopravissuti quell’uomo che chiamava?” si chiede Nawal. “Quali parole devo usare adesso per rispondere ai familiari dei morti che mi chiamano per avere notizie?” continua sul suo profilo Facebook. “Ho passato una vita a portare avanti questa missione e non ho mai imparato le parole giuste da dire a una madre che perde un figlio. Le loro voci sono impresse nella mia mente… Decine e decine di chiamate, pianti, urla…”.
Non servono i picchetti d’onore per sentire che queste giornate sono di lutto.