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Con il ritorno della barca a vela SAFIRA – oggi sabato 19 aprile 2025 – nel porto base di Trapani, da cui era salpata la mattina del 2 aprile, si è conclusa la #Missione21 di MEDITERRANEA Saving Humans. In queste tre settimane SAFIRA è partita dal porto di Lampedusa per navigare nelle acque a sud dell’isola in attività di osservazione e monitoraggio a tutela dei diritti fondamentali delle persone, pronta ad assistere e, se necessario, a soccorrere vite in pericolo in mare.
In particolare è dovuta intervenire in due casi, aiutando direttamente 78 persone durante la missione. Nel primo caso, intorno alle 16 di domenica 6 aprile, SAFIRA ha soccorso 28 persone (tra cui 12 minori non accompagnati) che si trovavano a bordo di una barca in vetroresina, partiti dalle coste di Sabratha in fuga dalla Libia e alla deriva dopo l’incendio di uno dei due motori fuoribordo. I 28 naufraghi, originari di Egitto, Sudan, Bangladesh e Marocco, al momento del soccorso erano stremati, pesantamente provati dal 52 ore trascorse in mare. Dopo l’intervento di recupero del nostro Rescue team, i medici a bordo prestavano loro le prime cure, in particolare per diversi casi di grave disidratazione. Tutte le persone venivano poi sbarcate in salvo a Lampedusa, porto assegnato come luogo sicuro di sbarco dalle Autorità italiane, all’1.15 di notte di lunedì 7 aprile.
Il soccorso è avvenuto in zona SAR di competenza maltese e tunisina a 36 miglia nautiche sud-ovest di Lampedusa, senza che le autorità di Tunisi abbiano mai risposto alle nostre comunicazioni, mentre quelle di Malta, da noi contattate, si sono esplicitamente rifiutate di intervenire in aiuto. L’imbarcazione in pericolo non era stata segnalata da nessuno ed è stata da noi avvistata direttamente. Se non l’avessimo intercettata avrebbe potuto trasformarsi nell’ennesimo “naufragio fantasma.”
L’avvistamento è avvenuto durante le operazioni di ricerca che avevamo avviato alle 8.45 del mattino nella stessa area, dopo che il nostro Equipaggio aveva individuato in mare prima le tracce di un naufragio di una barca in legno (tavolati di colore giallo che galleggiavano, come si trattassero dei resti di un relitto) e poi il corpo senza vita di un ragazzo nero che indossava un giubbotto marrone. Quando SAFIRA si è avvicinata per recuperarlo e dargli un’identità e una degna sepoltura, il corpo è sparito tra i flutti, inghiottito dal mare. Di questo ritrovamento sono state subito informate la Guardia Costiera e l’IT MRCC (Centro di coordinamento del soccorso marittimo) di Roma, affinché venissero avviate le necessarie ricerche e verifiche.
Dopo lo sbarco dei 28 soccorsi e le indispensabili attività di sanificazione e preparazione della barca, trascorse 24 ore di maltempo in un periodo che è stato tutto segnato da una significativa instabilità metereologica, SAFIRA è ripartita da Lampedusa martedì 8 aprile.
Il secondo caso nel pomeriggio di sabato 12 aprile, quando SAFIRA, dopo aver seguito diverse situazioni di “distress” segnalate da Alarm Phone e dall’aereo Seabird 3 di Sea-Watch, ha risposto a un “may-day-relay”, cioè a un SOS, lanciato dall’aereo Eagle 1 di Frontex. La nostra barca a vela ha raggiunto la posizione segnalata, tra le zone SAR tunisina e maltese a oltre 40 miglia a sud di Lampedusa, e il nostro Rescue team è intervenuto per offrire immediata assistenza all’imbarcazione in difficoltà alla deriva. Le 50 persone in pericolo sono state soccorse e poi imbarcate dalla motovedetta CP319 della Guardia Costiera italiana (che le ha sbarcate sane e salve a Lampedusa in serata), mentre il nostro Equipaggio rimaneva a disposizione fino al completamento delle operazioni.
Tutta la #Missione21 è stata segnata da due elementi. Il primo, come accennavamo, la situazione meteo-marina fortemente instabile, con il passaggio di tre diverse perturbazioni nel Mediterraneo Centrale, una delle quali a carattere ciclonico, con forti venti alternati di Scirocco e Libeccio e onde fino a quattro metri.
Il secondo è stato l’ampio impegno in queste settimane della Flotta Civile, con diversi assetti con cui abbiamo direttamente cooperato in mare e con cui ci siamo incontrati nel porto di Lampedusa. Oltre al già citato cruciale ruolo di Alarm Phone e Sea-Watch Airborne nella segnalazione dei casi e nell’osservazione dal cielo di imbarcazioni in pericolo, abbiamo avuto la possibilità di collaborare in questi giorni nelle operazioni con la nave Aita Mari di Salvamento Maritimo Humanitario, con le altre barche a vela Nadir di Resqship, Trotamar III del Compass Collective, Daikini e Nihayet Garganey, e con l’assetto veloce Aurora Sar di Sea-Watch. E, mentre le navi più grandi come Humanity 1, Life Support e Solidaire venivano mandate a sbarcare le persone soccorse in zona SAR libica nei lontani porti, rispettivamente, di Genova, Ravenna e Ancona, anche l’unità veloce Sea-Eye 5 dell’omonima organizzazione tedesca, iniziava a operare a sud dell’isola.
Il ruolo della Civil Fleet è stato di fondamentale importanza in un periodo in cui, nonostante le difficili condizioni metereologiche, decine di precarie imbarcazioni sono partite da Libia e Tunisia e oltre duemila persone sono riuscite ad arrivare, autonomamente o grazie ai soccorsi di assetti istituzionali o non governativi, a Lampedusa.
Come scrivevamo il 5 aprile salpando da Lampedusa: “In Libia e Tunisia, ogni giorno, è caccia alla persona migrante. Soprattutto se nera, cristiana e/o appartenente alla comunità LGBTQAI+. Rastrellamenti per le strade, deportazioni e abbandoni nel deserto, intercettazioni in mare, detenzioni arbitrarie nei campi di prigionia, torture ed estorsioni sono la cronaca quotidiana, per mano di regimi e milizie che sono i partner privilegiati del governo italiano e delle istituzioni europee”.
Laura Marmorale, presidente di Mediterranea Saving Humans aggiungeva: “nei giorni scorsi la chiusura forzata a Tripoli dell’attività di una decina di organizzazioni non governative, così come gli interventi che a Tunisi reprimono il lavoro umanitario, dimostrano che Libia e Tunisia sono Paesi tutt’altro che sicuri, da cui centinaia di persone provano legittimamente a fuggire, cercando protezione in Europa”. Senza contare le oltre 600 persone – secondo i dati diffusi dall’IOM, sicuramente sottostimati – che hanno perso la vita nel Mediterraneo Centrale dal 1° gennaio di quest’anno.
“La nostra nave Mare Jonio è in cantiere a Napoli, ma la nostra risposta non può che essere: torniamo in mare” spiegava Denny Castiglione, capomissione a bordo.
“Assistiamo a: criminali e trafficanti libici, ricercati dalla giustizia internazionale impuniti e protetti, spionaggio ai danni di vittime e testimoni, attivistə umanitarə e giornalistə indipendenti, piani di deportazione delle persone migranti verso paesi terzi - concludeva Marmorale - Noi torniamo in mare anche per testimoniare che nel nostro Paese umanità e solidarietà sono valori ampiamente diffusi. E che, in mare come in terra, nessuno può essere lasciato indietro”.
Trapani, 22 aprile 2025