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Continua anche nel mese di agosto il progetto “Mediterranea with Palestine”, con cui Mediterranea Saving Humans è intervenuta sul campo a sostegno del movimento di palestinese di resistenza nonviolenta Youth of Sumud e di Operazione Colomba, impegnata da 20 anni in azioni di interposizione nonviolenta e documentazione dei soprusi compiuti dalle forze di Occupazione israeliane nei Territori Occupati della Cisgiordiania nella zona di Masafer Yatta (colline a sud di Al Khalil) e in particolare nel villaggio di At-Tuwani.
Come documentato anche nel precedente report, dopo il 7 ottobre, l’aumento di tensione e violenza nella Cisgiordania occupata è eveidente. La popolazione palestinese è soggetta a continui attacchi da parte dei coloni israeliani, con la complicità della polizia e dell’esercito. A ciò si aggiunge il trasferimento di molti poteri giuridici nelle mani dell’amministrazione civile nei Territori Occupati, ossia de facto le stesse persone che abitano le colonie, che, secondo la Corte Internazionale di Giustizia, devono essere sgomberate in quanto illegali per il diritto internazionale.
In questo contesto, soprattutto dalla seconda metà del mese in avanti, le violenze ai danni della popolazione palestinese sono aumentate a dismisura, in particolare nel nord della Cisgiordania occupata e sembra che il progetto portato avanti da Israele di compiere una pulizia etnica nei Territori Occupati abbia subito un’accelerazione. Ciò è dimostrato dal fatto che il Governo israeliano ha messo in atto un’operazione militare nel nord della Cisgiordania, durata più di 10 giorni e che ha colpito soprattutto le città di Jenin, Nablus e Tulkarem, causando decine di morti e centinaia di feriti e arresti arbitrari.
Il 9 agosto, un colono israeliano ha sparato contro un attivista statunitense, colpendolo alla gamba mentre partecipava ad una manifestazione pacifica contro l’Occupazione presso Beitia, vicino a Nablus. L’attivista aveva preso parte alla campagna Faz3a - Defend Palestine, che ha l’obiettivo di coordinare e diffondere l’azione di interposizione nonviolenta dellə attivistə in tutta la Cisgiordania. Si tratta dell’ennesimo caso di targetizzazione di internazionalə, sempre più spesso vittime di violenze e arresti arbitrari.
Pochi giorni dopo, la notte del 15 agosto, è avvenuto quello che lo stesso presidente israeliano Herzog ha definito “un vero e proprio pogrom” contro la popolazione palestinese del villaggio di Jit, a est di Qalqilya. Un gruppo di circa un centinaio di coloni armati di bombe molotov e armi da fuoco ha assaltato il villaggio, incendiando auto e case, ferendo gravemente un uomo e uccidendo Mahmoud Abdel Qader Sadda, un palestinese di 23 anni. Le testimonianze della popolazione palestinese descrivono la complicità dell’esercito, che non è intervenuto per cercare di fermare la violenza dei coloni. Tuttavia, come raramente accade, 4 coloni sono stati arrestati dalla polizia israeliana in quanto sospettati di aver preso parte all’assalto.
Il 27 agosto, un altro raid armato compiuto dai coloni israeliani provenienti dall’insediamento di Efrat contro il villaggio palestinese di Wadi Rahal, a sud di Betlemme, ha avuto come bilancio l’assassinio di Khalil Zayadah, 41 anni, e il ferimento di altri tre uomini che risiedevano nel villaggio. Al momento dell’arrivo dell’ambulanza che avrebbe potuto soccorrere Zayadah, l’esercito, che fino a quel momento aveva semplicemente osservato la scena senza intervenire, ha impedito per 20 minuti il passaggio del mezzo di soccorso. Nessun responsabile dell’omicidio e delle altre aggressioni è stato identificato e arrestato.
Il 6 settembre, ancora una volta durante una manifestazione pacifica nel villaggio di Beita, Aysenur Ezgi Eyzi, attivista 27enne turco-statunitense, è stata uccisa da un cecchino israeliano, che l’ha colpita alla testa sparando da una distanza di circa 150 metri. Anche Aysenur si trovava nei Territori Occupati della Cisgiordania per compiere azioni di interposizione nonviolenta a fianco della popolazione palestinese. Durante le manifestazioni contro l’Occupazione a Beita, che si tengono ogni venerdì - e in particolare dopo la legalizzazione del limitrofo avamposto israeliano di Evyatar avvenuta lo scorso giugno- prima di Aysenur, sono state uccise 17 persone dal 2018 dall’esercito israeliano. Erano tutte palestinesə.
Anche nel mese di agosto,gli episodi di violenza e le provocazioni dei coloni israeliani nella Masafer Yatta sono state costanti e ripetute.
All’inizio del mese, il 6 di agosto, era stato Alì Awad, attivista palestinese di 26 anni, insieme alla sua famiglia, ad essere bersaglio di un attacco condotto da tre coloni a volto coperto armati di bastoni coloni nei pressi del villaggio di Tuba, dove è residente.
Il 24 agosto una dozzina di coloni israeliani, armati di mazze e bastoni, hanno attaccato la popolazione palestinese, comprese donne e bambinə, presso il villaggio di Susya.
Un altro metodo utilizzato da Israele per portare avanti i propri progetti di pulizia etnica è privare la popolazione palestinese delle risorse idriche. Come è avvenuto il 5 agosto nel villaggio di Al-Jawaya, quando le ruspe israeliane hanno distrutto l’impianto idrico che garantiva alla popolazione locale le risorse idriche necessarie con il chiaro obiettivo di forzare le persone a lasciare il villaggio.
Continuano inoltre le demolizioni di edifici palestinesi da parte delle forze di Occupazione. Da inizio anno, nella Cisgiordania occupata, 1299 edifici palestinesi sono stati demoliti, dato che ha superato il numero di demolizioni totali avvenuto nell’arco dell’intero 2023, pari a 1177. In Masafer Yatta, il villaggio più colpito negli ultimi mesi dalle demolizioni è quello di Um al-Khair, dove non solo sono stati demolite una decina di case, ma addirittura l’esercito ha distrutto le tende dove la popolazione del villaggio che ha perso la sua abitazione si rifugiava. Il villaggio, la cui quasi totalità delle abitazioni è oggetto di un ordine di demolizione, si trova a pochi metri dalla colonia di Karmel ed è costantemente sotto minaccia di un attacco dei coloni e delle ruspe dell’esercito. La popolazione locale è stata vittima della Nakba del 1948, quando migliaia di famiglie palestinesi sono state cacciate con la forza dal deserto del Neghev.
Il 13 agosto è avvenuta un’altra provocazione contro la popolazione palestinese da parte delle forze di Occupazione, nel giorno in cui cade la festività ebraica di Tisha Beav. In questa occasione, circa una cinquantina di coloni, arrivata a bordo di due autobus scortati da esercito e polizia, hanno occupato il terreno di Basel Arda, abitante del villaggio di At-Tuwani, dove da tempo i coloni millantano i resti di un’antica sinagoga. Qui per tutta la mattinata, i coloni armati hanno pregato, protetti dalle forze di Occupazione e dai droni israeliani, uno strumento di controllo e minaccia usato sempre più frequentemente nella zona della Masafer Yatta.
Fortunatamente, grazie anche alla presenza di attivistə e giornalistə internazionali, non ci sono stati incidenti. “Su Facebook, - spiega Viola, (nome di fantasia, ndr), attivista di Mediterranea presente durante i fatti- abbiamo trovato l’evento che invitava i coloni israeliani a recarsi ad At-Tuwani per pregare. Il costo del bus era di 10 shekel. Sembrava quasi la descrizione di una scampagnata. Peccato che i coloni siano arrivati con a tracolla degli M16 e scortati dall’esercito armato fino ai denti”.
Nonostante il progetto di pulizia etnica implementato da Israele, la popolazione palestinese continua a praticare il Sumud (Resilienza, resistenza ndr) e a restare sui propri territori. E in alcuni casi, riesce anche a riprendersi le terre precedentemente sottratte dalle forze di Occupazione, come avvenuto presso il villaggio di Zanuta il 21 agosto. Questo villaggio della Masafer Yatta era stato attaccato ripetutamente dai coloni israeliani, che avevano costretto la popolazione a lasciare le proprie terre all’indomani del 7 ottobre, ma dopo 10 mesi e una lunga battaglia legale, un tribunale israeliano ha sancito il diritto al ritorno della popolazione palestinese.
La mattina del 21 agosto, gli uomini insieme ai loro greggi sono tornati nel villaggio, completamente distrutto dai coloni. “Abbiamo avuto la sensazione potentissima di essere dentro la storia, - racconta Anna (nome di fantasia ndr), attivista di Mediterranea presente a Zanuta - che anni di preghiera si stiano nel piccolo di questo villaggio avverando. Ognuno rioccupa gli spazi propri, nell'esatto posto in cui c'era la propria casa.”. Gli uomini attingono l’acqua dal pozzo e ognuno beve un sorso dal secchio, in un rituale che segna l’avverarsi della speranza. Dal 21 agosto Zanuta è di nuovo un villaggio abitato, anche se il futuro è tutt'altro che semplice per la popolazione palestinese.
Infatti, la situazione per chi è tornato a Zanuta resta estremamente pericolosa: la paura di nuovi attacchi dei coloni e il divieto di ricostruire gli edifici perché le autorità israeliane hanno sì concesso la possibilità alla popolazione palestinese di ritornare, ma non i permessi per ricostruire le case del villaggio. Nei giorni seguenti al 21 agosto, le provocazioni e le intimidazioni dei coloni si sono susseguite nonostante la continua presenza internazionale a Zanuta. In diversi casi, coloni armati sono entrati tra le rovine delle case, minacciando le persone presenti. Per questo alto livello di tensione, donne e bambinə non sono ancora potutə tornare e la permanenza degli uomini palestinesi continua ad essere costantemente a rischio.
I primi tre mesi del progetto Mediterranea with Palestine si sono conclusi il 31 agosto, dopo 10 missioni e quasi tre mesi di presenza nel villaggio di At-Tuwani e in Masafer Yatta. Il nostro obiettivo è di tornare presto sul campo, a svolgere azioni di interposizione nonviolenta svolgere il ruolo di osservatorə internazionali per denunciare le violazioni dei diritti umani che la popolazione palestinese subisce per mano delle forze di Occupazione israeliana in Cisgiordania.