FAQ

Mediterranea nasce da tante persone diverse che non sono più riuscite a restare a guardare altre persone come loro morire, a migliaia, nell’indifferenza. Nasce dal bisogno di giustizia e di fare qualcosa di buono. Nasce dal coraggio di pensare che chiunque può farlo. Nasce da un desiderio. Ed è forse normale che questo desiderio sia stato condiviso per primi da operatorǝ del sociale, persone impegnate nell’attivismo per i diritti, ricercatorǝ che hanno dedicato la loro vita allo studio delle società contro ogni demagogia e strumentalizzazione.

Tutte queste persone, insieme, hanno deciso di creare una rete, di dare concretezza a un’idea enorme e piccolissima: possiamo e dobbiamo continuare a desiderare e agire per dire che il rispetto della vita umana viene sopra ogni cosa. Così hanno cominciato, semplicemente, a farlo: con telefonate, incontri, riunioni sempre più frequenti. Tutte le realtà del nucleo promotore hanno dato il loro contributo per far nascere questa operazione e molte singole personalità culturali e politiche, interpellate, si sono messe generosamente a disposizione, si sono mobilitate e hanno reso possibile raggiungere questo primo traguardo. Ora tocca a tuttə fare in modo che Mediterranea cresca: con le donazioni ma anche e soprattutto con la partecipazione al progetto che è e resterà sempre aperto a tuttǝ.

Dopo l’allontanamento delle navi delle ONG dal Mediterraneo, una persona ogni sei che si mettono in mare fuggendo dalla Libia muore nel silenzio. Nessunǝ può più testimoniare, ed eventualmente portare aiuto a chi si trova in pericolo di vita. É intollerabile sapere che tante tragedie si consumano nell’invisibilità e senza che vi sia alcun soccorso. Mediterranea adesso è lì per monitorare, chiamare i soccorsi, aiutare se necessario. Per farlo, per essere nel Mediterraneo centrale, non c’era altra alternativa che acquistare una nave e salpare.

La nostra è una missione di monitoraggio. Saremo in mare per testimoniare e denunciare ciò che accade, nel rispetto delle leggi internazionali e del mare, comprese quelle che impongono, ove necessario, il salvataggio della vita umana.

Mediterranea è un'associazione di promozione sociale (APS) che nasce per testimoniare e denunciare quanto sta accadendo nel Mediterraneo centrale dopo che le ONG, criminalizzate da una retorica politica costruita intorno ad inchieste che non hanno portato a nessuna condanna, sono state costrette ad abbandonarlo. Non è una Organizzazione Non Governativa, ma un’Azione Non Governativa progettata e realizzata da organizzazioni di natura differente e singole persone. Per questo Mediterranea è aperta a tutte le voci – laiche, religiose, culturali e sociali – e a tutti i contributi di chi vorrà sostenerla e farne parte. Mediterranea è una nave di tuttǝ.

Mediterranea crede nell’importanza di agire e di farlo insieme. Per questo stiamo scommettendo sulla partecipazione dal basso e contiamo di reperire le risorse necessarie grazie all’aiuto di tante persone, associazioni e gruppi che trovano inaccettabile che ogni mese muoiano centinaia di persone vicino alle coste italiane. Attraverso il crowdfunding, tutti possono donare ciò che è nelle proprie possibilità. Inoltre tuttǝ lǝ promotorǝ e lǝ sostenitorǝ si impegneranno per realizzare sul territorio iniziative di solidarietà, supporto e fundraising aperte a tuttǝ lǝ cittadinǝ. L’avvio del progetto è stato possibile grazie alla preziosa collaborazione con Banca Etica che ha concesso un prestito per far fronte a tutte le necessità operative, supervisiona le attività di raccolta fondi e offre consulenza e tutoraggio economico.

Il diritto internazionale prescrive non solamente che in caso di situazioni di naufragio e in condizioni di pericolo in mare si debba intervenire per portare rapidamente soccorso, ma anche che gli uomini e le donne aiutate siano portatǝ in porti sicuri. Lǝ naufraghǝ, una volta raggiunta la costa italiana o di altra nazione europea, saranno accoltǝ secondo quanto previsto dalla legge italiana ed dell’Unione Europea.

Un porto sicuro è il porto di un paese che rispetta le convenzioni internazionali e i diritti umani e quindi garantisce nel concreto il rispetto della dignità e dei diritti delle persone che accoglie, compreso l’accesso effettivo alla possibilità di chiedere asilo. La Libia, ad esempio, non ha nessuno di questi requisiti.

La ragione strutturale è la chiusura degli ingressi legali e quindi la costrizione, per molte delle persone che lasciano il proprio paese e non vogliono (ma spesso sono obbligate a) fermarsi nei paesi di transito, di arrivare fino in Libia. Da lì, il Mediterraneo diventa una tappa obbligata. Una volta pagata la traversata, si viene messǝ in mare (negli ultimi tempi, sempre più di frequente, con i fucili puntati contro) su barche il più delle volte malferme e destinate ad affondare. Certamente, l’allontanamento delle navi umanitarie e di ogni mezzo governativo deputato al salvataggio ha contribuito all’aumento dei naufragi, ma sono le condizioni della partenza dalla Libia e la chiusura di tutti gli altri canali di ingresso le principali cause. Infine, il ruolo attribuito dall’Italia alla cosiddetta guardia costiera libica ha fatto sì che le persone che si imbarcano dalle coste libiche vengano intercettate dai Libici in mare e riportate indietro alle torture e alle violenze e poi rimesse sulle barche anche 2 o 3 volte. Questo ha moltiplicato, per ciascuna di esse, oltre che la quantità di sofferenza e abusi, anche le possibilità di naufragio. Oggi, una persona su 6 che parte muore. Immaginate cosa significhi allora, per chi lo fa, partire, e chiedetevi se è moralmente accettabile che le persone vengano messe nella condizione di compiere questa scelta.

Di chi stiamo parlando? Questo “loro” è composto da una miriade di condizioni e provenienze differenti, e ogni risposta, anche quella che stiamo per dare, è riduttiva e semplificante di una realtà molto più complessa. Se ci si riferisce a chi in questo momento sta cercando di fuggire dalle bombe o dalle violenze di guerre crudelissime, l’unico imperativo ora è offrire un posto sicuro dove rifugiarsi, oltre che smettere di fornire immediatamente gli armamenti. Se parliamo in generale di chi parte per costruire un futuro migliore, in luoghi più democratici e liberi, allora aiutarlǝ a casa “loro” significherebbe innanzitutto smettere di sostenere governi repressivi, cosa che l’Italia e l’Europa non hanno mai smesso di fare, smettere di estrarre ricchezze da paesi che non traggono alcun profitto dalle nostre speculazioni, anche quando sono fatte in loco, come accade col turismo non solidale e rispettoso delle comunità locali, riscrivere gli accordi economici che legano ad esempio le due sponde del Mediterraneo e che vanno sempre a discapito dellǝ più poverǝ, dall’una e dall’altra parte. Gli interventi umanitari sono importanti nell’emergenza, ma per superarla occorrono misure razionali, serie, non dettate dall’egoismo e dal mercato, o dal rapporto di forza tra lǝ governanti dei paesi del mondo, che ovunque, anche in Italia, hanno spesso troppo poco a cuore il bene reale delle popolazioni. In generale, però, dovremmo chiedere anche all’Inghilterra, allora, perché non aiuta a casa loro lǝ tantissimǝ Italianǝ (spesso giovani e competenti come tantǝ ragazzǝ che dall’Asia e dall’Africa cercano di raggiungere l’Europa) che adesso vivono a Londra o in altre città inglesi.

L’Italia, con le sue politiche di chiusura delle frontiere, in accordo con le politiche dell’UE, ha reso il Mediterraneo l’unica strada percorribile. Questo l’ha messa nella posizione geografica di essere, insieme a Malta e alla Grecia, il primo paese di ingresso. Se esistessero canali di ingresso legale in Europa, le migrazioni si redistribuirebbero dal basso. Questa sarebbe l’unica battaglia di senso da condurre in Europa sul tema, ma l’Italia dovrebbe iniziare dando il buon esempio.

Tutto ciò che Mediterranea fa è completamente legale. Rispetta e rispetterà sempre le leggi italiane, internazionali, e quelle del mare: Mediterranea è un’azione di obbedienza civile.

In tutta Europa, a vari livelli, ormai da anni, si è scelto di trasformare il tema delle migrazioni in uno strumento di propaganda politica. Le conseguenze sono state politiche migratorie irrazionali, inefficaci anche rispetto agli scopi che dichiaravano di voler raggiungere, oltre che ingiuste e sempre più inumane e pericolose anche per la tenuta stessa degli assetti democratici dei paesi europei. I cosiddetti paesi progressisti ed europeisti hanno scelto anch’essi la via della strumentalizzazione politica, pensando fino ad oggi di potere governare le derive razziste e di delegittimazione del diritto e dei diritti umani che sempre provocano. Oggi si ritrovano ad affrontare una situazione in cui la guerra alle migrazioni è diventata il collante per le forze neofasciste e neonaziste europee, ma anche per l’asse di stati UE i cui governi sono fortemente orientati al sovranismo antieuropeista e al nazionalismo identitario, e che in comune hanno soprattutto la xenofobia e una certa nostalgia per regimi autoritari che speravamo non tornassero più dopo le sofferenze e gli stermini di cui sono stati responsabili. Le politiche europee sulle migrazioni non hanno mai puntato davvero a gestire in maniera razionale un fenomeno che esiste. Sono diventate il terreno di lotta politica per guadagnare consenso. Per questo non hanno funzionato.

Essendo ormai il Mediterraneo l’ultima rotta ancora percorribile verso l’Europa, seppure in maniera sempre più residuale e sempre più pericolosa, le provenienze delle persone migranti che lo attraversano sono le più eterogenee: dai paesi del Corno d’Africa, afflitti da regimi repressivi, insicurezza e guerre civili, a quelli sub-sahariani che presentano a vari livelli le stesse caratteristiche, a quelli del Magreb raccontati come stati pacificati, ma che in realtà non garantiscono spesso la tutela dei diritti e delle libertà delle persone (rispetto all’Egitto basti pensare alla terribile uccisione di Giulio Regeni), ricordando sempre che la grande povertà si accompagna spesso alla mancanza di effettive tutele democratiche. A queste persone si aggiungono anche lǝ pochǝ profughǝ che ancora riescono a fuggire dalle guerre del Medio Oriente e da contesti di insicurezza politica e ambientale che caratterizzano tanti Stati asiatici.

Chi parte dalla Libia molto spesso cerca semplicemente di arrivare il più lontano possibile da quell’infermo dove ogni giorno è scandito da torture, stupri, violenze e riduzione in schiavitù. Ricordiamo che il fatto che la Libia sia diventata un enorme campo di concentramento a cielo aperto dipende dalla chiusura di tutti i canali di ingresso legali e che quando si parte dal proprio paese si è sempre costretti a mettersi nelle mani di trafficanti, molto spesso perdendo il controllo sul proprio percorso migratorio, e che quando si arriva in Libia è impossibile tornare indietro. Le persone che partono da paesi come la Tunisia o l’Egitto solitamente inseguono il sogno di vivere in uno stato democratico dove poter costruire un futuro più libero e sereno. Molto spesso le persone che partono desiderano raggiungere lǝ propriǝ congiunti che già si trovano in Europa e che potrebbero ospitarle e aiutarle nell’affrontare le difficoltà del primo arrivo. Le leggi dell’Unione Europea e degli stati nazionali che la compongono, però, rendono quasi sempre questo desiderio irrealizzabile, opponendosi a quella che sarebbe una sorta naturale redistribuzione dal basso delle persone che arrivano in Europa.

L’ansia da “invasione” è il prodotto di strumentalizzazioni e falsificazioni della realtà, perché le migrazioni verso l’Europa e l’Italia non sono aumentate, ma decresciute negli ultimi dieci anni. Ma la chiusura di ogni canale di ingresso legale ha reso il Mediterraneo l’unica via percorribile, arricchendo le mafie di trafficanti di esseri umani. Così si è costruita l’emergenza ideale per far dimenticare alla popolazione europea chi è veramente responsabile della crisi economica, delle diseguaglianze, della precarietà delle nostre esistenze: non certo le persone che migrano e che da sempre portano nei paesi dove arrivano prevalentemente risorse e benefici. Si è tornati a legittimare il razzismo, la legge del più forte sopra la garanzia del diritto, il rancore come collante sociale, rischiando di farci regredire ai decenni peggiori della recente storia europea, quelli degli stermini e del terrore.

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