Mediterranea with Palestine - Giugno/Luglio 2024

21 / Jun / 2024 31 / Jul / 2024

Il 21 giugno è iniziata la fase operativa del progetto “Mediterranea with Palestine”, grazie a cui Mediterranea Saving Humans sta intervenendo sul campo a sostegno del movimento di palestinese di resistenza nonviolenta Youth of Sumud e di Operazione Colomba, impegnata da 20 anni in azioni di interposizione nonviolenta e documentazione dei soprusi compiuti dalle forze di Occupazione israeliane nei Territori Occupati della Cisgiordiania nella zona di Masafer Yatta (colline a sud di Al Khalil) e in particolare nel villaggio di At-Tuwani.
Dopo il 7 ottobre, la vita quotidiana della popolazione palestinese nella Masafer Yatta è diventata sempre più pericolosa, come dimostrano alcuni recenti episodi. Anche qui, lo scoppio della guerra ha scatenato un’ondata di estrema violenza da parte dei coloni israeliani che, con gli occhi dell’opinione pubblica puntati su Gaza, hanno potuto accelerare la realizzazione del disegno che da anni avviene in Cisgiordania: un lento ma costante processo di pulizia etnica.

Il 29 maggio scorso, il Governo israeliano ha trasferito numerosi poteri legalie militari dall’esercito all’amministrazione civile nei Territori Occupati della Cisgiordania. Nei Territori Occupati, l’amministrazione civile è de facto nelle mani dei coloni. Decisione che ha ulteriormente accelerato l’escalation di violenza avvenuta dopo il 7 ottobre. 

I coloni, con la complicità delle altre forze di Occupazione e con il supporto dell’estrema destra al Governo, agiscono in un clima di sostanziale impunità, occupando terre palestinesi, minacciando e aggredendo fisicamente le proprietà e le persone.
In questo contesto, il Governo israeliano ha dato il via ad un giro di vite anche nei confronti dellǝ attivistǝ internazionali presenti in gran numero nella Masafer Yatta per sostenere la resistenza nonviolenta palestinese. Per questo motivo, in diversi casi anche lǝ attivistǝ internazionali hanno subito arresti arbitrari ed episodi di violenza da parte delle forze di Occupazione.

In particolare, nelle prime settimane del progetto Mediterranea è stata testimone di due episodi di grave violenza.

Il primo è accaduto nella notte tra il 3 e il 4 luglio, quando A. un giovane palestinese, e il nostro attivista Michele (nome di fantasia, n.d.r) sono state vittime di un vero e proprio pogrom compiuto dai coloni israeliani.

In tarda serata, i coloni, sotto gli occhi compiacenti dell’esercito e della polizia, hanno acceso vari roghi sui terreni nei pressi del villaggio di Khallet At Daeba, per poi dirigersi verso il poco lontano villaggio di Um Fagarah con il chiaro intento di dar fuoco al villaggio, armati di fucili e mazze e con il volto coperto.

Immediatamente un gruppo composto da palestinesǝ e internazionalǝ ha provato ad intervenire per evitare l’attacco al villaggio. I coloni hanno prima catturato e pestato crudelmente A., che ha riportato varie fratture agli arti inferiori e successivamente è stato anche arrestato dalla polizia e tenuto in stato di fermo per 48 ore senza avere la possibilità di accedere alle cure mediche. Poco dopo, anche Michele è stato catturato e pestato a sangue da 6/7 coloni, che gli hanno causato una ferita al volto e varie contusioni sulla schiena. Il nostro attivista è poi riuscito a fuggire ed è stato soccorso molte ore dopo da un pastore palestinese di un villaggio limitrofo.

I roghi appiccati dai coloni presso il villaggio palestinese di Khallet at Daeba
Due coloni armati poco prima dell'aggressione alla famiglia palestinese a Shaeb al Botom

Un paio di settimane dopo, il 19 luglio, presso il villaggio di Shaeb al Botom, un nostro attivista è stato testimone dell’ennesima aggressione da parte di un gruppo di coloni israeliani.

Una famiglia palestinese ha cercato di scacciare dal suo campo, mostrando anche i documenti legali che stabilivano i diritti di proprietà, un colono che stava distruggendo le coltivazioni con il suo gregge. Improvvisamente, due coloni a volto coperto hanno aggredito le persone palestinesi presenti sul posto con delle mazze, ferendo H. e W., donna di 55 anni, che ha riportato un serio trauma cranico.

I soldati sul posto sono intervenuti solamente sparando in aria per disperdere la folla di palestinesǝ e arrestando alcuni membri della comunità dopo la fine dell’aggressione.

Al di là di questi episodi di estrema violenza, le violazioni dei diritti umani perpetrati dalle forze di Occupazione contro la popolazione palestinese sono quotidiane. Tra gli esempi più lampanti le demolizioni e i continui furti e danneggiamenti alle risorse idriche palestinesi.

Dall’inizio dell’anno, l’esercito israeliano ha demolito 890 edifici palestinesi (a fronte di 1177 nell’intero anno precedente), lasciando senza casa 1801 persone. In particolare, nella Masafer Yatta, sono stati presi di mira i villaggi di At-Tuwani, Al-Jawaya e Um al-Khair. 

Di fatto, le case palestinesi nei Territori Occupati sono quasi tutte sotto la minaccia di demolizione poiché è pressoché impossibile per una persona palestinese ottenere il permesso di costruire, pur sul proprio terreno, da parte dello Stato israeliano. La maggior parte delle abitazioni risultano quindi senza permesso e possono essere demolite da un momento all’altro.

Al contrario, a inizio luglio, il Governo israeliano ha approvato la costruzione di 6.000 nuove unità abitative, designando a questo scopo 1200 ettari di terreno nella Cisgiordania occupata.

Tutto ciò nonostante la Corte di Giustizia Internazionale abbia dichiarato illegale la presenza di colonie israeliane nei Territori Occupati.

Un altro metodo utilizzato da Israele per portare avanti i propri progetti di pulizia etnica è privare la popolazione palestinese delle risorse idriche. Basti pensare che mediamente unǝ israelianǝ in Cisgiordania utilizza una quantità d’acqua 10 volte superiore ad unǝ palestinesǝ, mentre il 92% delle case palestinesi attingono l’acqua potabile dalle cisterne in assenza di altri sistemi di approvvigionamento.

In questo contesto, non è insolito che i coloni israeliani attacchino i sistemi idrici palestinesi, come accaduto a più riprese presso il villaggio di Um al-Khair, dove le tubature sono state danneggiate ripetutamente nelle ultime settimane. È comune anche che i coloni sparino alle cisterne di acqua.

In generale, l’area più colpita dalle Forze di Occupazione è una fascia di terra di pochi chilometri, dove sono presenti quattro villaggi: Um Dhorit, Shaeb al Botom, Um Fagarah e Khallet at Daeba. Questi centri abitati palestinesi sono molto vicini alla colonia israeliana di Abigail e ad un nuovo insediamento in costruzione. In particolare, la situazione di Um Dhorit, chiuso tra una bypass road (ad uso esclusivo dei veicoli israeliani), la colonia di Abigail e due nuovi insediamenti, è estremamente critica. Qui, dove ormai vive una sola famiglia palestinese, per cui la costante presenza internazionale è l’ultima garanzia di una qualche forma di sicurezza. 

Ad oggi, l’area della Masafer Yatta per le Forze di Occupazione è di fondamentale importanza. Riuscire a cacciare la popolazione palestinese da questa zona rurale avrebbe un duplice risultato: da una parte, occupare un territorio limitrofo alla Green Line (il confine dello Stato di Israele propriamente detto), di fatto spostando il confine stesso, dall’altra obbligare la popolazione palestinese locale a spostarsi nelle grandi città in Zona A (in particolare Yatta e Al Khalil), che accelererebbero la loro trasformazione in veri e propri ghetti palestinesi.

Il villaggio palestinese di Um Fagarah

Come dichiarato anche dalla ministra israeliana per le colonie e i progetti nazionali Strock, questa è per l’Occupazione “un'età miracolosa”, dove i coloni agiscono praticamente impuniti e indisturbati nei Territori Occupati della Cisgiordania, dove di fatto detengono il potere grazie all’incondizionato appoggio ricevuto dall’estrema destra al Governo.

Allo stesso tempo, la sensazione è che questa “età dell’oro” per i coloni non possa durare per sempre: l’instabilità del Governo Netanyahu e un’auspicabile tregua a Gaza potrebbero portare a dei repentini cambiamenti negli scenari interni alla politica israeliana.

In questo contesto a loro favorevole, è chiaro come Israele continui la sua spinta violenta ed aggressiva per spostare e modificare a suo favore i confini fisici e psicologici nei Territori Occupati per prendere pezzo per pezzo le terre palestinesi.

Perciò è necessario continuare a supportare la resistenza nonviolenta di Youth of Sumud e della popolazione palestinese tramite azioni di interposizione nonviolenta e documentando le violazioni dei diritti umani compiutre dalle forze di Occupazione.

E in questo il ruolo di Mediterranea e delle tante altre organizzazioni internazionali è fondamentale: essere sul campo, a fianco della popolazione palestinese, e raccontare all’opinione pubblica e alle istituzioni italiane ed europee quali siano le conseguenze del loro silenzio complice sulle politiche genocide dello Stato d’Israele.

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