Save a life, save the world
let's rescue humanity together,
support our missions in the Mediterranean
La Libia e Gaza, il soccorso civile
e la Global Sumud Flotilla.
Nella notte del 26 settembre, la cosiddetta guardia costiera libica, da bordo di una delle motovedette classe “Corrubia” fornite dall’Italia, ha aperto il fuoco contro la nave del soccorso civile Sea-Watch 5, mentre era in corso il salvataggio di 66 persone. Un mese fa, contro la nave Ocean Viking, si era verificato un altro attacco armato, più pesante perché mirava a uccidere, con colpi di mitragliatrice ad altezza d’uomo, che hanno colpito la plancia di comando.
Potremmo dire che la pratica criminale di attacco contro missioni umanitarie e di soccorso, quella che stiamo vedendo messo in atto contro la missione della Global Sumud Flotilla, si sta rapidamente affermando come “nuova normalità” nel mar Mediterraneo, a opera di governi che violano sistematicamente i diritti umani, ogni Convenzione del diritto internazionale e ogni principio di umanità. Il governo di Tripoli, riconosciuto dall’Occidente, e quello di Tel Aviv hanno sicuramente questo in comune. Chi rinchiude nei lager donne, uomini e bambini e chi sta compiendo l’orrore che tutto il mondo conosce contro la popolazione civile a Gaza ha molto in comune. E in questo quadro, chi attacca militarmente in mare, in acque internazionali, missioni umanitarie e di soccorso, disarmate, pacifiche e che hanno come obiettivo quello di salvare delle vite, non di ucciderle, parte dallo stesso presupposto: vale solo la “legge del più forte”, in mare come in terra, e nessuna convenzione internazionale, nessun diritto condiviso è universale, valido a prescindere per ogni essere umano e per la sua vita, deve essere tenuto in considerazione. Questa operazione di cancellazione di ogni diritto ha ormai una dimensione globale: dalle deportazioni di massa negli USA alle pratiche genocidiarie e di pulizia etnica in Palestina. L’obliterazione di ogni ius in bello, quindi di ogni limite alla ferocia dell’azione militare – in particolare quando esercitata da forze armate contro i civili - per come era stato costruito attraverso le tragedie belliche degli ultimi tre secoli, è del resto uno dei tratti determinanti della dimensione pervasiva della guerra come dominante le relazioni internazionali, ma anche economiche e sociali su scala planetaria.
Tornando al mare e alla Libia, è interessante notare come Sea-Watch 5 sia stata attaccata dopo che una barca veloce con due miliziani a bordo con il volto coperto da passamontagna, gli aveva “scaricato” 66 migranti. È una dinamica molto simile a quanto successo anche a Mediterranea nell’ultima missione dell’agosto scorso, con dieci persone lanciate violentemente in acqua davanti alla nave di notte, proprio da un’imbarcazione simile, in utilizzo alla 111ma Brigata dell’esercito “regolare” del governo di Tripoli. Come se si volesse inscenare da parte delle autorità, probabilmente non solo libiche, un rapporto tra scafisti e navi di soccorso. È la tesi, questa del collegamento tra scafisti e ong, guarda caso, del ministro degli Interni italiano, anche recentemente propagandata in interviste ai giornali. Per poter attaccare in maniera illegale e criminale, missioni umanitarie e di soccorso, violando ogni principio e convenzione internazionale, devono cercare di costruirsi un alibi, provando a far credere che chi aiuta, disarmato e pacifico, sia in realtà un complice di reati che devono essere perseguiti. E questo accade anche alle missioni come Global Sumud Flottilla, bombardate e minacciate da Israele in acque internazionali perché “sono amici dei terroristi” e quindi “minaccia per lo Stato”. La stessa narrazione d’altronde, che abbiamo sentito negli interventi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, da parte di Trump, Meloni e Nethanyau. Il diritto internazionale non deve esistere, è superato, e chi si appella ad esso per tentare di fare qualcosa per aiutare chi soffre o muore, diventa automaticamente un “nemico della nazione”, compresi i magistrati che cercano di applicarne le norme.
In un mondo armato fino ai denti, dove s’impongono massacri e sofferenze agli innocenti, chi si batte per il rispetto dei diritti umani, ha davanti a sé un potere sempre più autoritario e cinico, senza alcuno scrupolo. La guerra globale è diventata ovunque guerra contro l’umano, guerra contro l’umanità. E, nel momento in cui interviene sul campo, si trasforma anche in guerra contro l’umanitario. Il numero degli operatori massacrati insieme a migliaia di donne uomini e bambini innocenti a Gaza e l’escalation di violenza contro le persone migranti e le navi di soccorso in Libia, Tunisia e in mare, ci dicono che il Mediterraneo è teatro di questa guerra. Dobbiamo saperlo e dobbiamo prepararci. Perché non smetteremo di pensare che l’umanità sia capace di disobbedire e rifiutare questo orrore.
Per questo siamo a fianco della Flotilla e torneremo in mare presto, appena la nostra nave sarà liberata dall’ingiusto sequestro di Piantedosi, e continueremo a soccorrere fratelli e sorelle, proprio perché crediamo in un Mediterraneo libero dalla guerra, in un mondo in pace e fraternità, e non nel loro incubo di violenze e atrocità.